Pubblicità e promozione aziendale: dalla scelta del messaggio alla definizione del budget pubblicitario

12 · 8 · 16

Su espressa richiesta ricevuta da alcuni dei nostri lettori pubblichiamo un secondo articolo sul tema della promozione aziendale ed in particolare della pubblicità (leggi il primo articolo sulla pubblicità): questa volta porremo particolare attenzione sui criteri per stabilire l’entità e la natura degli investimenti economici da destinare a tale scopo. Procederemo, per gradi, ripercorrendo le linee guida necessarie per la costruzione del messaggio pubblicitario, successivamente, analizzeremo le fonti da cui attingere detto messaggio, poi, dopo aver evidenziato la disomogeneità dei rispettivi gruppi sociali a cui si rivolge la comunicazione pubblicitaria, entreremo, nel vivo del tema economico, offrendo diverse soluzioni e prospettive d’indagine per affrontare, in modo oculato e programmato, gli investimenti da destinare alla pubblicità. Per ogni fase di programmazione e gestione valgono le stesse osservazioni, già più volte evidenziate e qui sotto, sinteticamente, elencate:

Per quanto attiene all’area formativa:

Come per ogni altra attività imprenditoriale, anche per quelle relative alla pubblicità è indispensabile pianificare il da farsi, senza lasciare nulla al caso.

Il messaggio pubblicitario

La coerenza tra caratteristiche del destinatario, contenuto della comunicazione, mezzi utilizzati per veicolarla sono fondamentali per ottenere il successo di un’iniziativa pubblicitaria. Il compito della pubblicità è infatti quello di presentare al potenziale cliente il prodotto come qualcosa in grado di soddisfare i suoi bisogni in modo effettivo ed efficace. La comunicazione è diretta a stabilire una connessione tra i bisogni latenti od esistenti del possibile acquirente e le qualità del prodotto che possono soddisfare tali bisogni. Per far questo il potenziale cliente deve ricevere dalla pubblicità le informazioni nel modo più ampio possibile, perché sia indotto a compiere i passi necessari per procurarsi il prodotto. Ciò non significa che il messaggio pubblicitario debba essere composto solo ed esclusivamente dell’elencazione, magari noiosa, di una serie di caratteristiche del prodotto o servizio proposto, come invece viene talvolta inteso il termine “informazione” con una visione riduttiva, parziale e scorretta. Testi troppo lunghi, voler dire tutto in poco spazio, perdersi in descrizioni di particolari tecnici del prodotto che pochi destinatari capiscono e apprezzano, molteplicità di immagini che disperdono l’attenzione sono gli errori più comuni che si compiono quando si pretende di dare un elevato contenuto informativo utilizzando mezzi e situazioni che richiedono invece sinteticità, messaggi brevi ed univoci. Una regola fondamentale per la realizzazione di una pubblicità efficace è di mettere in rilievo una sola e forte informazione per volta, definendo con chiarezza a quali obiettivi deve puntare la campagna. Il tentativo di “ottimizzare” l’impegnativo sforzo pubblicitario per lanciare una serie di messaggi e conseguire molteplici obiettivi è di solito fallimentare. Il risultato più probabile, quando si vuole comunicare in contemporanea qualcosa a qualcuno e qualcos’altro a qualcun altro, è che alla fine nessuno capisca che il messaggio è proprio destinato a lui, disperdendo così la potenza della comunicazione in mille rivoli che non portano da nessuna parte. Per i beni intermedi o industriali è pertanto appropriato che i particolari sulle caratteristiche tecniche del prodotto siano riportati su una scheda tecnica, che chi è veramente interessato richiederà, mentre per i beni di consumo o i servizi saranno gli addetti alla vendita, opportunamente istruiti e formati, che dovranno illustrare le proprietà del prodotto o servizio al potenziale cliente. Troppe immagini, i testi descrittivi ma illeggibili, più simboli o marchi distolgono l’attenzione. Meglio concentrarsi sull’essenziale. Piuttosto è meglio articolare la comunicazione pubblicitaria pianificando nel tempo una campagna con più annunci, diversi tra loro, secondo una sequenza logica di presentazione. Qualcuno contrappone la cosiddetta “pubblicità creativa”, che giocherebbe sulle emozioni, alla “pubblicità informativa”, che invece racconterebbe in modo didascalico e un po’ pedante le virtù e le caratteristiche del prodotto. Tale distinzione non ha senso, mentre è pur vero che esistono pubblicità buone, cioè che funzionano, e pubblicità cattive, cioè che non funzionano. La pubblicità in quanto tale ha comunque e sempre un contenuto informativo, poiché comunica (o dovrebbe comunicare, nelle intenzioni) qualcosa a qualcuno. Semmai il problema della “qualità” del messaggio e dell’informazione in esso contenuta deriva dalla correlazione inversa, ben nota a chi si occupa di teoria dell’informazione, tra la quantità di informazione contenuta in un segnale e la sua frequenza di apparizione. Proprio così, i segnali che appaiono più frequentemente sono quelli che hanno un minor contenuto di informazione, poiché non apportano significativamente nuove conoscenze al quadro informativo di cui dispone già il destinatario e ottengono dunque un effetto di banalizzazione del messaggio stesso. Ciò non significa che il “messaggio ideale” sia quello che appare una volta sola, poiché una singola uscita pubblicitaria (su un quotidiano, ad esempio) probabilmente non riuscirà a rivolgersi a tutti i destinatari di tale comunicazione, e se anche ci riuscisse non è detto che riesca a raccogliere la necessaria attenzione per farsi notare. È comunque vero che la pubblicità eccessivamente ripetuta ottiene l’effetto opposto a quello che si prefigge, vale a dire che l’attenzione tende a diminuire. La ripetizione è praticata da chi ritiene che sia necessario continuare a rinfrescare il ricordo mantenendo un elevato livello di pressione tramite il sistematico “rinforzo” dello stimolo. È empiricamente dimostrato che oltre una certa soglia l’efficacia della comunicazione pubblicitaria ripetuta scende, e in maniera anche piuttosto veloce. Da questo fenomeno emerge dunque la doppia necessità di realizzare messaggi che cambino dopo un certo periodo di tempo e siano a forte contenuto creativo, in grado cioè di porsi all’attenzione dei possibili destinatari e con elementi di “novità” anche sul piano delle immagini, dei segni, delle espressioni verbali utilizzate, facendo comunque attenzione a mantenere decodificabile il messaggio da parte dei destinatari. La creatività non è mai il solo colpo di originalità, meno che mai la sola bizzarria. Essa, in pubblicità richiede un quotidiano impegno verso una grande curiosità intellettuale, una profonda cultura il cui processo di apprendimento non si esaurisce mai, un esercizio costante di letture, conoscenze acquisite, ricerca dei segnali di cambiamento anche in fatti apparentemente minimi che si manifestano nel mondo circostante. Le ricerche sulle caratteristiche dei destinatari della comunicazione, sui loro gusti e propensioni, sui loro stili di vita possono dare un contributo non secondario per orientare al meglio il processo creativo di una pubblicità efficace. Per essere utile infatti la creatività pubblicitaria non può esaurirsi nella sola “idea geniale”, se essa non viene per lo meno compresa (meglio sarebbe condivisa) dal pubblico a cui si rivolge. Per questo è fondamentale conoscere e utilizzare in primo luogo i “codici” che i destinatari della comunicazione sentono come propri. Anche in questo caso il ricorso alle ricerche è essenziale per comprendere il linguaggio dei destinatari, i valori, la cultura, il modo di vedere il mondo che essi hanno, e quindi i codici più adeguati con cui comunicare. L’alternativa alla creatività consiste nell’aumentare il “volume” della comunicazione erogata. Non a caso la pubblicità televisiva è deliberatamente mantenuta nelle interruzioni pubblicitarie delle emittenti commerciali ad un volume maggiore dei programmi in cui è inserita, ma questo provoca fastidio ed irritazione presso gli spettatori più attenti ed evoluti, con un effetto controproducente nei confronti dei prodotti presentati. L’altro modo di aumentare il volume consiste da una parte nella sempre più spinta spettacolarizzazione delle situazioni presentate, e dall’altra al ricorso a formati più grandi, a maggior colore, a mezzi più “ricchi” e così via. In questa corsa al rialzo l’effetto che si ottiene è quello di un maggior affollamento dei messaggi, e quindi dell’aumento della condizione del rumore sottostante, che comporta a sua volta un incremento del livello del volume per essere ascoltati. In una piazza dove tutti gridano è giocoforza gridare più forte, e quindi questa spirale negativa fa sì che le risorse stanziate per occupare lo spazio sui mezzi debbano crescere, la pubblicità debba essere più spettacolare (e quindi, di nuovo, più costosa nella sua realizzazione), e quindi la pratica di alcune forme pubblicitarie si restringe ad un numero minore di possibili inserzionisti, che per altro realizzano sempre più frequentemente campagne con una creatività tutto sommato bassa. Per chi non dispone di grandi budget o preferisce allocarli a favore di altre componenti dell’azione di marketing diventa allora fondamentale riuscire ad ottenere il massimo dell’efficacia e dell’efficienza nella realizzazione dei messaggi, nella scelta dei canali e dei mezzi da utilizzare per raggiungere i riceventi voluti, nella elevata conoscenza dei codici da utilizzare e che i destinatari sono in grado di maneggiare ed utilizzare per riconoscere l’offerta come adatta proprio per loro. In ogni caso, è importante che il messaggio sia costruito tenendo conto delle seguenti due regole fondamentali (funzione e struttura) che però sono purtroppo spesso disattese. Quale funzione deve avere il messaggio? Nessun messaggio pubblicitario è in grado di creare una fede assoluta nel prodotto o di modificare di punto in bianco i comportamenti dei possibili clienti. È sbagliato quindi pensare di ottenere vasti effetti nell’immediato. Ciò che un annuncio pubblicitario può invece ottenere è tentare di informare sull’esistenza del prodotto, oppure stimolare il desiderio, oppure ancora indicare le modalità dell’azione, oppure fornire rassicurazione. È importante decidere prima quale di questi effetti si vuole ottenere, poiché è in funzione di questo obiettivo che occorrerà sviluppare il messaggio stesso. Se si volesse stimolare il desiderio di acquisto, per esempio, occorrerà inserire nel messaggio stesso qualche elemento che sia in grado di affermare una effettiva differenza rispetto ai prodotti esistenti, un vantaggio che il cliente cerca ma che finora non ha trovato soddisfazione. Come deve essere strutturato il messaggio? Dipende ovviamente dal mezzo o dai mezzi che si è deciso di utilizzare, poiché non tutti si prestano in pari misura ad analoghe strutture. Comunque va deciso se si vuole o meno fornire una conclusione esplicita all’interno del messaggio, se si vogliono usare solo argomenti positivi, e in quale ordine vanno presentati i vari contenuti. In particolare:

  • fornire una conclusione esplicita (“questo prodotto è adatto ai giovani”, per esempio) può limitare eccessivamente l’accettazione del prodotto, specialmente quando è di recente introduzione sul mercato, mentre fornire conclusioni è più adatto nel caso di prodotti complessi e specializzati, destinati ad un uso unico e specifico;
  • usare solo argomenti positivi sembrerebbe la scelta obbligata nel caso della comunicazione pubblicitaria, ma ad esempio evocare una serie di aspetti critici nel caso in cui non si utilizzi il prodotto può ottenere un certo effetto, purché si sia poi in grado di dimostrare che il prodotto è in grado di garantire prestazioni in grado di risolvere tali criticità;
  • sull’ordine di presentazione è evidente che per attrarre l’attenzione occorre già dalle prime parole/frasi far percepire un vantaggio forte a chi vede o ascolta la nostra pubblicità, ma è altrettanto vero che lasciare i migliori argomenti in fondo alla comunicazione rafforza e prolunga il ricordo del messaggio. Di solito nel caso della comunicazione scritta (quotidiani o riviste, per esempio), ciò significa aprire il messaggio con una frase ad effetto (la cosiddetta head-line) e chiudere con la riaffermazione di una promessa (il cosiddetto pay-off). Talvolta il pay-off non esiste e la sua funzione è svolta dal logo, che firma il messaggio e lo attesta con tutta la sua credibilità, nel caso in cui si tratti di una marca conosciuta ed affermata. Ciò che è certo è che gli argomenti più forti non vanno posti nella parte centrale, che è meglio invece dedicare all’eventuale illustrazione e presentazione di particolari che possono interessare solo una parte del pubblico. È questo lo spazio del cosiddetto body-copy, che si sa viene letto solo da una parte minoritaria dei destinatari.

La fonte

La fonte, cioè chi emette il messaggio, ha un’influenza non secondaria nell’efficacia della comunicazione. Perché la comunicazione abbia la possibilità di essere ascoltata chi emette il messaggio deve sempre poter essere identificato da chi lo riceve. Quando è direttamente l’azienda che emette il messaggio esso va firmato dal marchio/logo. Non necessariamente chi emette il messaggio deve coincidere con l’azienda. Quando non è la marca in prima persona a costituire la fonte può essere presente un testimonial che spende la sua notorietà e credibilità associando la propria immagine a quella del prodotto, oppure ancora chi suggerisce l’utilizzo del prodotto/servizio nell’ambito di un gruppo sociale all’interno del quale il destinatario è inserito (famigliari, amici, colleghi, e così via). La regola che vale in tutti e tre i casi (marchio, testimonial, gruppo) è che la comunicazione è tanto più efficace quanto più la fonte è credibile, vale a dire che l’immagine dell’emittente deve essere particolarmente curata. La credibilità consiste di due componenti, la prima è definita come conoscitiva, e ad essa contribuiscono il potere, il prestigio, la conoscenza che viene attribuita alla fonte, la seconda è di tipo affettivo, e consta sostanzialmente della simpatia che la fonte suscita nei confronti del destinatario. Quando tutte queste qualità sono presenti in elevata misura il comunicatore ottiene con efficacia l’effetto voluto, quando queste qualità sono presenti solo in parte o qualcuna di esse è debole occorrerà allora valutare su quale porre la maggior enfasi. Se il destinatario ha un atteggiamento positivo sia verso la fonte che verso il messaggio esiste uno stato di congruenza. Se invece il destinatario, per esempio, ascolta un testimonial che gli è simpatico lodare una marca o un prodotto che non apprezza, abbiamo uno stato di incongruenza. L’effetto è che il destinatario tenderà a modificare il proprio atteggiamento in direzione di un maggior equilibrio tra testimonial e marca, e così cambierà un po’ più favorevolmente il proprio atteggiamento nei confronti della marca, e un po’ più negativamente verso il testimonial. In altri termini, il testimonial trasferisce una parte della sua carica positiva verso la marca, e viceversa, ma nel processo egli perderà parte della reputazione e della credibilità di cui godeva, specialmente se la cosa si ripete frequentemente. Tale processo vale anche al contrario: una marca che gode di una certa reputazione, immagine, simpatia, può subire un’influenza negativa da parte di un personaggio che non incontra il favore del pubblico a cui è destinato il messaggio. Per questo fondamentale motivo nella scelta del testimonial occorre valutare con molta attenzione l’affinità del personaggio nei confronti dei destinatari del messaggio, poiché un alto livello di simpatia non è sempre riscontrabile ovunque, da parte di tutti i potenziali componenti del pubblico. Anche in questo caso le ricerche sono preziose, per comprendere quali personaggi pubblici si “associano” meglio alle caratteristiche dei principali gruppi destinatari del messaggio.   I gruppi sociali di riferimento Una “fonte” molto particolare è costituita dagli influenti nei gruppi sociali di riferimento dei destinatari della comunicazione. Ogni individuo infatti è inserito in una molteplicità di gruppi sociali con i quali normalmente interagisce. Il primo gruppo di riferimento è normalmente la propria famiglia, sia essa “ristretta” ai soli familiari conviventi sia essa intesa in senso più ampio, allargando alla cerchia di parenti con cui si hanno più intensi rapporti di frequentazione. Un altro importante gruppo sociale di riferimento è quello dei colleghi (o compagni di scuola se studenti), cioè quell’insieme di persone che si frequenta normalmente per molte ore al giorno, e con il quale si possono instaurare rapporti anche molto intensi, che possono variare dall’affinità stretta alla conflittualità (con tutte le condizioni intermedie ovviamente). In ogni caso questo gruppo ha una forte influenza, in positivo o in negativo, in termini di comportamento del singolo. Un terzo gruppo di sicuro rilievo in termini di influenza è costituito dagli amici, che per altro sono scelti in base ad una presumibile affinità di punti di vista, atteggiamenti, comportamenti. Molte scelte di acquisto si formano all’interno di questo particolare gruppo. Pensiamo ad esempio all’abbigliamento, oppure ai consumi culturali (il film, lo spettacolo, la mostra, il concerto o il locale di divertimento che si frequenta insieme, i libri consigliati dagli amici o a/da essi regalati), ma anche gli acquisti alimentari (non solo quale ristorante ma anche quali cibi, la dieta, quali bevande, e così via), le scelte relative alle vacanze, quelle per il fitness, la salute, il benessere, lo sport praticato o fruito come spettatore, i mezzi di trasporto, il tipo di arredamento, per citare solo i più evidenti e ricorrenti. All’interno del gruppo di amici si formano quotidianamente scelte di acquisto per una enorme varietà di beni e servizi, sulla base di consigli, suggerimenti, opinioni, esperienze raccontate, che proprio per il carattere di “neutralità” che siamo disposti a riconoscere ai nostri amici diventano altrettanti forti stimoli nei confronti delle nostre scelte, provenienti da testimonial a cui attribuiamo una forte credibilità o per lo meno una notevole dose di buona fede. Viceversa, con i nostri comportamenti e suggerimenti influenziamo a nostra volta la cerchia di persone con le quali condividiamo interessi, attività, o anche il semplice piacere (ma di quale potenza!) dello scambio di opinioni, della chiacchera, della storiellina divertente. Non a caso, uno degli stereotipi della pubblicità è l’ambientazione in famiglia o nel gruppo di amici. Si calcola che normalmente un individuo abbia una cerchia “ristretta”, tra parenti più prossimi e amici che si frequentano con una certa intensità, intorno alle 10-12 persone. Ciò non significa che esista una misura “standard” di numero di persone conosciute, bensì che in media sono una decina gli altri individui nei confronti dei quali ognuno può agire da potente testimonial, pressoché per tutte le scelte di acquisto e consumo. Non a caso, quando nelle ricerche di mercato si realizzano i focus-group per approfondire con interviste di gruppo le cause e le dinamiche delle scelte di acquisto e di consumo, i gruppi più produttivi in termini di idee e quantità/qualità delle informazioni raccolte sono formati in media da una decina di persone. Sulla base della considerazione che ogni individuo mantiene rapporti stretti e frequenti con una definita fascia di persone, che è in grado di influenzare in misura rilevante, ha portato qualcuno a teorizzare la strategia del marketing virale. Il principio è quello della diffusione dei virus: se ogni individuo contatta con un elevato grado di influenza almeno altre 10 persone, e ad esse trasmette un messaggio, e a loro volta esse contattano ognuna altre 10 persone, e così via all’infinito, in breve tempo saranno toccate migliaia, milioni di persone potenziali destinatarie del messaggio. Per funzionare il marketing virale si basa su regole piuttosto semplici: un messaggio avrà tanta più probabilità di diffondersi ad un elevato numero di persone con efficacia e in poco tempo tanto più sarà semplice e richiederà un basso sforzo applicativo per trasformarsi in comportamento. Un esempio ormai classico di marketing virale è quello dell’affermazione di Hotmail, o comunque dei servizi liberi e gratuiti di email, che in effetti si sono diffusi velocemente grazie alla pubblicità che ogni utilizzatore produce nel momento in cui invia una email al fondo della quale è riportata la frase “contatta hotmail per avere anche tu la tua casella di posta gratuita”. Anche se questo è un caso molto particolare (un servizio gratuito) il principio è comunque corretto: si diffondono velocemente e con un elevato grado di efficacia i messaggi semplici, con un immediato vantaggio, facili da diffondere, che richiedano un basso sforzo applicativo da parte dei destinatari. Il marketing virale trova comunque applicazione per una serie di prodotti e servizi che connotano in modo molto preciso la comunità di individui a cui si rivolgono (l’informatica, lo sport, la musica, gli interessi culturali, tra i più frequenti), fino ad arrivare a parlare in alcuni casi di vere e proprie “tribù sociali” con un proprio linguaggio, segnali di riconoscimento, stili di comportamento fortemente condivisi dagli appartenenti al clan. In altri casi il marketing virale può costituire una modalità di comunicazione tra le possibili, ma con una efficacia decisamente più bassa rispetto a situazioni in cui determinati prodotti o servizi entrano a tutti gli effetti nel modo di essere delle persone che condividono gli stessi interessi o bisogni.

I mezzi pubblicitari

I mezzi pubblicitari sono il canale attraverso cui la fonte fa pervenire il segnale ai destinatari. La scelta dei mezzi che veicoleranno la pubblicità può determinarne il successo o meno. I mezzi scelti possono integrarsi con il contenuto creativo del messaggio, dandogli molta più forza, oppure possono non apportare alcun contributo alla sua efficacia, fungendo da semplice supporto neutro, o addirittura ostacolare la forza espressiva del messaggio, smorzandone o annullandone i possibili effetti. Talvolta i mezzi riescono a trasferire al messaggio pubblicitario la propria credibilità ed autorevolezza, quasi a prescindere dalla validità del messaggio stesso. Ciò avviene ad esempio per alcune riviste specializzate, quando ad esse è riconosciuto un ruolo di indicatori di tendenza o di mode, oppure per pubblicazioni magari a bassa tiratura ma ad alto livello di contenuti, come sono talvolta alcune riviste scientifiche o tecniche. La forma del mezzo, le sue caratteristiche tecniche, le possibilità espressive che offre sono comunque aspetti di assoluto rilievo, e vanno tenute presenti nel processo di selezione su quali mezzi investire. I vari mezzi presentano infatti potenzialità diverse in termini di dimostrazione, visualizzazione, spiegazione, credibilità. Il mezzo determina cioè in modo preminente le caratteristiche del messaggio, e non è sensato pensare di trasferire da un mezzo all’altro lo stesso tipo di comunicato senza tener conto della capacità intrinseca del mezzo di mantenere, aggiungere o togliere valore ed efficacia al messaggio. Pensare ad esempio di usare lo stesso format, lo stesso equilibrio visivo, lo stesso testo nel passaggio da un annuncio stampa, magari su quotidiano, ad una affissione stradale è sbagliato e scorretto. Intanto sul quotidiano molto probabilmente l’annuncio sarà in bianco e nero, mentre l’affissione ben si presta all’uso del colore, in secondo luogo chi legge/sfoglia il quotidiano, se interessato, potrà già nel body-copy cercare ulteriori informazioni sul prodotto, mentre chi passa per strada sarà sostanzialmente colpito dall’immagine, e al più da una sola scritta ben visibile, inoltre i lettori del quotidiano possono essere piuttosto definiti in termini socio-demografici, mentre il manifesto ha un pubblico di destinatari piuttosto indefinito (in quale zona della città sarà affisso? In una strada che si percorre velocemente o in una piazza dove il tempo di esposizione può essere maggiore? Davanti ad una scuola, un ufficio, un mercato o un centro commerciale?). Altro esempio negativo di comportamento da non tenere: pensare di trasferire i contenuti, necessariamente complessi ed articolati, di una brochure che presenta l’azienda e i suoi principali prodotti verso qualsiasi altro mezzo pubblicitario che si decida di utilizzare per una specifica campagna. Se è vero infatti che una continuità di comunicazione “istituzionale” va mantenuta è altrettanto vero che la brochure assolve ad un compito continuativo e prolungato per un certo periodo nel tempo, mentre una specifica pubblicità ha il compito di presentare un prodotto, o una particolare offerta, in un lasso di tempo limitato, e quindi andrà impostata secondo tutt’altra logica. Ciò detto la varietà di mezzi pubblicitari disponibili è piuttosto ampia, e comprende diverse categorie. I mezzi identificati e definiti come classici sono i quotidiani, la stampa periodica, la televisione, la radio, il cinema, l’affissione. È piuttosto evidente quali siano le differenze tra questi vari mezzi in termini di capacità espressiva, tipo di pubblico, possibile livello di coinvolgimento da parte della pubblicità. Ognuno di questi mezzi comprende poi una serie di veicoli (le singole testate), ognuno a sua volta con una propria specificità. Per brevità espositiva non sono dettagliate in questa sede tali caratteristiche, rimandando invece chi volesse approfondire all’ampia documentazione bibliografica disponibile. Di seguito si presenta invece una veloce carrellata delle principali categorie di mezzi, comprendendo anche quelli che tradizionalmente non sono considerati dalla letteratura in materia, e che in alcuni casi possono invece costituire un efficace strumento di comunicazione e promozione aziendale. Le principali categorie di mezzi pubblicitari disponibili sono dunque:

  • i quotidiani, che quasi sempre offrono la possibilità di inserzioni nazionali oppure locali;
  • le testate locali, bi o tri-settimanali, buon mezzo per raggiungere il pubblico di una certa località o zona della provincia;
  • la cosiddetta free-press, con una varietà di testate locali diffuse gratuitamente in punti di passaggio, anche in forma di pubblicazioni specializzate (gli spettacoli della settimana, per esempio) – la criticità della free-press è proprio il fatto di essere gratuita, assimilabile come efficacia più al volantino che ai mezzi stampa – quando il lettore sceglie una testata e paga per leggerla presta più attenzione ai suoi contenuti e tende ad assegnare maggiore credibilità a tutti i contenuti della pubblicazione, pubblicità compresa – quando invece la riceve gratuitamente l’attenzione è più scarsa, e la credibilità minore – come dimostrano numerose ricerche effettuate proprio su questo aspetto, ciò vale anche nel caso in cui la testata sia di norma diffusa a pagamento ma ricevuta come copia omaggio o da altri lettori che l’hanno acquistata;
  • le riviste nazionali settimanali, classificabili nelle grandi categorie “opinione”, “economici”, “famigliari”, “femminili”, “televisivi”, “gossip” – nei settimanali sono compresi anche i vari supplementi ai quotidiani;
  • le riviste nazionali mensili, che si rivolgono ad un pubblico interessato a quello specifico argomento (fotografia, viaggi e turismo, attività sportive, arredo e architettura, moda, e così via) – queste riviste presentano l’indubbio vantaggio di avere un pubblico di lettori molto attento ai contenuti degli argomenti presentati dalla testata – una pubblicità attinente riscuoterà senz’altro maggior attenzione rispetto a quanto può accadere su una rivista generica – il problema delle riviste specializzate è che non è possibile pianificare gli annunci su base locale, ma si può utilizzare la sola copertura nazionale;
  • le riviste tecniche specializzate – sono vissute come l’unico mezzo disponibile per entrare in contatto con un pubblico particolare, costituito da chi si occupa di un certo settore produttivo o merceologico – i due grandi gruppi con cui si possono suddividere le riviste tecniche specializzate sono quello delle testate destinate ad aziende di produzione e quello invece costituito dalle pubblicazioni diffuse presso i canali di vendita (distributori, grossisti, dettaglianti) – in entrambi i casi la maggior parte delle riviste tecniche specializzate sono diffuse gratuitamente, ma a differenza della free-press locale presentano discreti indici di lettura e di attenzione da parte di chi li riceve – da sole o in abbinamento con la presenza in fiera possono in effetti contribuire a costruire l’immagine di una azienda che si rivolge ad altre aziende per proporre i propri prodotti o servizi;
  • gli annuari, le pagine gialle, i repertori in genere con pubblicità classificata, comprendendo in questa categoria anche i cataloghi delle fiere a cui si partecipa – fatte le dovute differenze tra loro, questi mezzi si rivolgono al consultatore nel momento in cui ha la necessità di reperire un’informazione relativamente ad un possibile fornitore – le numerose ricerche in questo campo dimostrano che il comportamento nella ricerca delle informazioni è piuttosto differenziato secondo il tipo di merceologia indagato – in alcuni casi si accede al repertorio per capire chi può fornire un certo prodotto o servizio (ad esempio una riparazione, oppure chi vende una certa marca, oppure se l’azienda cercata produce determinati prodotti), in altri il nominativo di chi si sta cercando è già noto, e la consultazione è finalizzata a trovare il numero telefonico, o l’indirizzo, o altre informazioni quali ad esempio l’orario di apertura, il sito web o l’email – in ogni caso la presenza su tale tipo di mezzi non può essere intesa come l’unica forma di pubblicità possibile, ma invece come una modalità complementare che può facilitare il contatto tra chi vende e chi è disposto ad acquistare – si tenga inoltre presente che di solito tali tipi di pubblicazioni prevedono una presenza minima gratuita (l’inserimento del nome dell’azienda, dell’indirizzo, del numero telefonico) mentre tutte le altre informazioni aggiuntive e gli spazi pubblicitari veri e propri sono a pagamento;
  • le televisioni nazionali, sul tema ti consigliamo la lettura del nostro e-book sul management televisivo;
  • le televisioni locali, sul tema ti consigliamo la lettura dello stesso e-book di cui sopra, frequentemente utilizzate da aziende che si rivolgono ad un pubblico definito su base regionale o provinciale, volendo a tutti i costi utilizzare la televisione e non volendo/potendo permettersi la nazionale – gli spettatori delle tv locali sono comunque complessivamente pochi, ed è anche piuttosto difficile riuscire a definirli per caratteristiche utili a qualche tipo di segmentazione – alcune televisioni locali hanno comunque qualche seguito, specialmente in determinate fasce orarie, e da parte di alcuni operatori televisivi locali è in atto un tentativo di connotare il proprio pubblico orientando i contenuti delle trasmissioni verso segmenti piuttosto precisi – la maggior parte della pubblicità trasmessa dalle tv locali è comunque brutta, poco attrattiva anche sul piano estetico e con scarsa capacità di suscitare un effettivo interesse da parte dei destinatari – i costi di produzione dei pochi filmati almeno decenti vengono così spalmati su un arco di tempo troppo lungo, nell’ordine degli anni, perdendo l’efficacia di una creatività che va invece rinnovata con una certa frequenza;
  • la radio nazionale, “radiorai” e pochi network di un certo livello;
  • le radio locali, in alcuni casi con un pubblico piuttosto connotato – la radio ben si presta come mezzo di supporto e di ampliamento di campagne veicolate anche con altri mezzi (giornali locali, affissioni, ad esempio), ma spesso viene purtroppo utilizzata da sola, secondo un concetto sbagliato di possibile mezzo succedaneo della televisione, troppo costosa per alcuni inserzionisti;
  • il cinema, in forma di filmati o diapositive proiettati nell’intervallo degli spettacoli – dopo la crisi di una decina d’anni fa il pubblico del cinema è in costante aumento e presenta buone caratteristiche in termini di disponibilità a provare nuovi prodotti, ma la maggior parte degli inserzionisti che utilizzano le diapositive sembra non essersene accorta, utilizzando format e visual di una tale incapacità comunicativa che fanno girare dall’altra parte gli spettatori in attesa del film. Noi abbiamo occupati del rapporto tra il Marketing e mondo dello spettacolo, con particolare attenzione alla gestione delle imprese che operano in tale ambito – le cosiddette performing arts – con riferimento ai teatri di tradizione, ai teatri di ricerca e sperimentali, ai teatri lirico-sinfonici e alle diverse organizzazioni che, sotto varie forme giuridiche ed istituzionali, compongono il variegato mondo delle rappresentazioni e delle espressioni artistiche avanti ad un pubblico di spettatori, variamente astanti e coinvolti. A riguardo vi consigliamo la lettura del seguente e-book: IL MARKETING E LA CULTURA: ARTE E NO PROFIT NEL MONDO DEL BUSINESS;
  • le affissioni e l’insieme delle possibilità offerte dalla cosiddetta “pubblicità dinamica” (cioè i cartelloni, le locandine, le vetrofanie su autobus e tram) – è un’ottima forma pubblicitaria per chi si rivolge ad un mercato locale, ma da sola non è sufficiente per lo sviluppo di una campagna pubblicitaria finalizzata a coprire con una certa intensità e ricchezza di contenuti – è comunque la forma pubblicitaria più utilizzata nel caso di apertura di un nuovo punto di vendita, per esempio, magari in abbinamento con un volantinaggio capillare nella zona di gravitazione del nuovo negozio o centro commerciale.

Tra gli altri possibili mezzi pubblicitari è il caso di citare almeno:

  • cataloghi e depliant dell’azienda e del prodotto;
  • folder di vendita, cioè quei depliant destinati esclusivamente alla forza di vendita per istruirla sulle caratteristiche del prodotto e dell’offerta;
  • espositori (da banco, da terra), di norma da collocare all’interno dei punti di vendita
  • oggetti promozionali (penne, calendari, agende, eccetera) che riportano il marchio/logo dell’azienda.

Come stabilire il budget pubblicitario

In una corretta logica di pianificazione delle proprie attività commerciali è altamente opportuno che la dimensione dell’investimento pubblicitario, e della comunicazione in genere, venga stabilito seguendo criteri Marketing ben precisi, Su questo vi invitiamo ad esaminare con attenzione quanto già scritto sopra, nell’introduzione di quest’articolo, con particolare riferimento alle fasi di programmazione e gestione delle attività imprenditoriali genericamente intese. Ciò vale anche per quanto ivi si dice in merito alla formazione ed al relativo materiale a cui si fa espresso riferimento. Una buona regola è quella di fissare l’entità dell’investimento pubblicitario già in fase di stesura del piano annuale di marketing, in funzione degli obiettivi che si intendono raggiungere e delle strategie definite per perseguirli. La pubblicità infatti, al pari degli altri componenti del marketing mix, è finalizzata ad ottenere risultati commerciali predefiniti, e non alla soddisfazione di vedere il nome della propria azienda riportato da questa o quella pubblicazione. In realtà la pubblicità “lavora” relativamente poco sul breve periodo, ma è comunque indispensabile per le finalità del piano annuale di marketing, e soprattutto sul medio e sul lungo, contribuendo all’affermazione della marca e all’accrescimento della sua conoscenza e reputazione presso il pubblico dei potenziali clienti. La dimensione dell’investimento pubblicitario va in ogni caso stabilita su base annuale, mentre alcune regole di fondo per la costruzione e il consolidamento dell’immagine di marca vanno seguite in modo costante e sistematico come scelte di carattere strategico. Si vedrà nel capitolo 8 come utilizzare in generale tutta la comunicazione aziendale per l’affermazione dell’immagine della marca. I criteri seguiti dalle aziende per stabilire la dimensione complessiva dell’investimento pubblicitario sono molteplici, e dipendono frequentemente più da prassi consolidate che da effettivi riscontri o dalla misurazione costante e sistematica degli effetti positivi indotti dalla pratica pubblicitaria. Alcune aziende destinano alla pubblicità una parte di ciò che eccede una certa dimensione di profitto conseguito. Questa scelta per così dire residuale comporta che in alcuni casi lo sforzo pubblicitario sia del tutto insufficiente per il raggiungimento degli obiettivi di breve e di medio, mentre in altri casi può risultare addirittura eccessivo. Sviluppare la pubblicità “quando ci sono i soldi” significa infatti non rendersi conto che si rinuncia ad una fondamentale componente del marketing mix, con il rischio di dover maggiormente investire in altre direzioni, oltre che rischiare di operare scelte avventate e fonte di spreco quando invece si decide di spendere nello sforzo pubblicitario. Altre aziende fissano invece anno per anno la loro dimensione di investimento pubblicitario complessivo stabilendo a priori una percentuale sulle vendite attese. Tale percentuale, che può variare dal 2% fino al 5%, è ritenuta, a torto o ragione, come una cifra “equa” da destinare allo sforzo pubblicitario per sostenere le proprie attività commerciali. Questo metodo, che presenta indubbi vantaggi sul piano della semplicità, presuppone però che le vendite siano la causa della pubblicità, e non il risultato (insieme con le altre variabili del marketing mix). Seguire questo criterio significa poi sostanzialmente confermare ciò che si è fatto in passato, e non è detto che sia stata la cosa più giusta. Altre aziende preferiscono mantenere la dimensione complessiva dell’investimento pubblicitario in linea con quanto realizzano i diretti concorrenti, secondo un principio sostanzialmente difensivo della posizione acquisita sul mercato. Questa è frequentemente la logica, ad esempio, che induce molte aziende ad essere presenti in una fiera specializzata perché anche i concorrenti lo fanno, esaurendo spesso tutta la propria disponibilità di spesa per la pubblicità in un evento a cui partecipano da anni sempre i soliti addetti ai lavori. Molto più proficuo sarebbe, in casi come questi, iniziare ad utilizzare modalità pubblicitarie e di promozione aziendale alternative, ma il timore di non essere visti alla fiera annuale costringe alla ripetizione di una prassi ormai logora, rinunciando a cercare nuovi clienti e possibili nuovi mercati che potrebbero offrire un ritorno molto più cospicuo. In realtà non c’è motivo di ritenere a priori che i concorrenti usino metodi logici per la determinazione degli stanziamenti pubblicitari. Reputazione, risorse, opportunità ed obiettivi pubblicitari di imprese concorrenti tendono a differire a tal punto che gli investimenti pubblicitari di uno qualsiasi di essi non possono essere presi a modello da un’altra impresa. Ciò non toglie che conoscere gli investimenti pubblicitari dei concorrenti possa costituire un’utile informazione per comprendere le loro strategie, ma seguire ciecamente le loro scelte potrebbe risultare, nella maggior parte dei casi, molto pericoloso. Il metodo più efficace e proficuo è invece quello di fissare la dimensione dell’investimento pubblicitario in funzione di precisi obiettivi che si intendono ottenere su base annua, e di stimare poi se tali obiettivi permettono un significativo incremento del profitto. In pratica, si consideri ad esempio l’obiettivo di incrementare in un anno del 10% il numero complessivo dei clienti serviti, con un valore medio di spesa pro-capite pari ad una certa cifra. Le domande logiche da porsi a questo punto sono le seguenti:

  • Verso quali possibili clienti dobbiamo in primo luogo destinare la nostra comunicazione?
  • A quale tipo di messaggio essi possono essere più sensibili, attenti, disposti ad accettare?
  • Quali possibili mezzi ci permettono di contattarli con la minor dispersione e maggiore efficacia?
  • Con quale frequenza e intensità dovremmo utilizzare tali mezzi per ottenere una copertura adeguata nei confronti di tale target-group?
  • E di conseguenza: quanto costa realizzare il messaggio più appropriato utilizzando quei mezzi con quella determinata frequenza?
  • E infine: con tale dimensione di investimento pubblicitario, e con il ritorno atteso, conseguiremo un risultato di profitto significativo?

Questo percorso logico può essere sviluppato per tutta la serie di obiettivi che costituiscono l’asse portante su cui si costruisce il piano di marketing annuale. In funzione degli obiettivi, dei compiti che devono essere svolti per raggiungere tali obiettivi, del costo per l’attuazione di tali compiti si tratterà poi di selezionare quali obiettivi risultano essere più redditizi, e verso i quali sarà opportuno concentrare di conseguenza lo sforzo pubblicitario. In alcuni casi si potrà scoprire, seguendo questa logica, che alcuni obiettivi possono addirittura produrre perdite e non profitti, ma che comunque essi vanno perseguiti, ad esempio per motivi di carattere strategico o di mantenimento della propria posizione sul mercato. In tale circostanza sarà comunque opportuno mantenere lo sforzo pubblicitario necessario per facilitare il conseguimento degli specifici risultati attesi, ma occorrerà sottoporre l’intero piano di marketing ad una opportuna revisione perché evidentemente qualcosa non sta funzionando nella strategia complessiva dell’azienda.  

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