Il marketing “anticrisi”: lca (ciclo di vita del prodotto/servizio) e innovazione sostenibile

06 · 9 · 16

Sempre più spesso, in questi ultimi anni, sentiamo parlare di “crisi economica”, se non addirittura “strutturale” o “sistemica”: al marketing, sicuramente, spetta il compito prioritario di individuare le strategie più giuste per fronteggiare la precarietà economica che caratterizza ormai l’intero il tessuto produttivo del nostro tempo.

Per tranquillizzare il lettore, diciamo subito che non intendiamo minimamente avventurarci in assai frequenti ed inutili dissertazioni sulle cause della “crisi”, né, tantomeno vogliamo formulare fantomatiche “ricette”, di opinabile genere e/o origine, per farvi fronte: ciò che, invece, riteniamo opportuno compiere qui di seguito è individuare il settore produttivo che, più degli altri, se strutturato strategicamente in modo corretto, possa garantire uno sviluppo duraturo e costante nel tempo per le imprese, pubbliche e private, italiane.

Tale settore che, malgrado le difficoltà contingenti sinteticamente definite sopra, risulta essere maggiormente reattivo e positivamente capace di generare utili crescenti è, senza alcun dubbio, quello dell’innovazione sostenibile: cerchiamo quindi di capire meglio quale sia il suo preciso ambito; quali siano le specifiche ragioni del suo successo; quali le condizioni necessarie e sufficienti per il perdurare del suo trend positivo.

L’innovazione sostenibile discende dal concetto di consumo sostenibile, consiste cioè nell’abbandonare un approccio di marketing focalizzato prevalentemente sulla soddisfazione del bisogno del consumatore con miglioramenti incrementali delle attuali modalità/soluzioni, senza tendere se necessario ad una modifica degli stili di consumo.

Alla luce dei principi della creazione di valore condiviso e di prevenzione/attenuazione di possibili impatti sociali ed ambientali negativi, l’impresa riconosce che la sua responsabilità non si limita a quelli generati sotto il proprio diretto controllo – produzione, trasporto, fine vita – ma si estende a quelli che si possono verificare lungo tutto il ciclo di vita del prodotto/servizio.

La metodologia chiave per realizzare questa trasformazione del business model e ridurre sostanzialmente gli impatti negativi prodotti è il life cycle assessment, fortemente raccomandato dalle istituzioni internazionali, che dilata gli orizzonti tradizionali del processo di creazione dei nuovi prodotti con l’introduzione di nuovi concetti come un approccio integrato all’intero ciclo di vita e alla catena di fornitura.

La sostenibilità si misura come un rapporto in cui al Denominatore stanno tutti gli input utilizzati nei processi aziendali – e le relative esternalità – e al Numeratore sta il Valore generato dall’impresa – ivi inclusi i benefici arrecati ai collaboratori e alla comunità, non solo in termini economici, ma anche di sicurezza, benessere, o, in sintesi, di qualità della vita sostenibile.

La valutazione del ciclo di vita (Life Cycle Assessment – LCA) è un metodo oggettivo di valutazione e quantificazione dei carichi energetici ed ambientali e degli impatti potenziali associati ad un prodotto/ processo/attività lungo l’intero ciclo di vita, dall’acquisizione delle materie prime al fine vita. I risultati che fornisce sono utilizzati nel miglioramento dei processi, nel sostegno a politiche definite e per garantire una base adeguata per decisioni informate.

Orientata al passato per la raccolta delle informazioni l’LCA può supportare con simulazioni accurate una visione dei possibili impatti futuri di possibili decisioni sulla modifica dei processi in atto.

Secondo questo standard un LCA si svolge nelle fasi seguenti:

  1. Definizione di obiettivi e ambiti: in questa fase vengono definiti obiettivi e ambiti della valutazione in coerenza con l’applicazione che se ne intende fare; vengono anche definiti dettagli essenziali su responsabilità, ambito, destinatari e altri vincoli. Nell’esempio di Unilever riportato di seguito la misurazione riguarda le emissioni dei 6 gas previsti dal Protocollo di Kioto;
  2. Inventario del ciclo di vita: questa fase implica la creazione di un inventario dei flussi di un sistema di prodotto da e verso la natura, comprendendo acqua, energia e materie prime, emissioni in aria, terra e acqua. Per svilupparlo si elabora un modello basato su un diagramma di flusso che comprende le attività da valutare nella catena di approvvigionamento e fornisce un quadro chiaro dei limiti tecnici del sistema. I dati di flusso in e out necessari a costruire il modello sono raccolti per tutte le attività comprese nel perimetro del sistema, inclusa la catena di fornitura. Questo aspetto può portare a difficoltà di reperimento e rendere necessarie delle stime attraverso fonti secondarie;
  3. Valutazione dell’impatto del ciclo di vita: è una fase che richiede un lavoro di: • selezione accurata delle diverse categorie di impatto, dei relativi indicatori e modelli caratteristici; • classificazione dei parametri inventariati in specifiche categorie di impatto; • misurazione degli impatti scegliendo metodologie adeguate a rendere i risultati comparabili e sommabili (p.es. normalizzazione, aggregazione, ponderazione);
  4. Interpretazione dei risultati: l’interpretazione di un LCA è una tecnica sistematica per identificare, quantificare, verificare e valutare le informazioni risultanti dalle fasi 2 (inventario) e/o 3 (valutazione dell’impatto), elaborandone una sintesi complessiva. L’esito finale della fase di interpretazione è un sommario che include l’identificazione di problemi significativi, la valutazione dello studio quanto a completezza, sensibilità e consistenza, conclusioni, limitazioni e raccomandazioni. La qualità dei dati raccolti, l’accuratezza, la completezza e la significatività dei risultati che reggono le conclusioni, soprattutto per quei risultati da cui si possono trarre conclusioni delicate e ricche di implicazioni, sono l’aspetto principale di tutta la valutazione. Ne possono infatti condizionare la comparabilità interna tra prodotti con risultati di qualità diversa o con altri studi esterni, nonché la diffusione pubblica.

Vari sistemi di misurazione del footprint dei prodotti lungo tutto il ciclo di vita sono stati sviluppati recentemente, o sono in corso di definizione. Per quanto riguarda il carbon management (CO2), World Business Council on Sustainable Development e World Resource Institute stanno mettendo a punto un metodo standard di misurazione del footprint di famiglie di prodotti lungo il ciclo di vita e l’inglese Carbon Trust ha sviluppato una metodologia per valutare nei prodotti di consumo il loro “embedded carbon”.

Inoltre, come anticipato, l’aggiornamento del Piano di Azione per Consumi e Produzione Sostenibile della Commissione Europea intende puntare sulla collaborazione con le imprese per definire una metodologia armonizzata basata sul ciclo di vita per calcolare l’environmental footprint dei prodotti.

L’OECD propone con il suo Sustainable Manufacturing Toolkit un Web portal studiato per supportare chi si voglia cimentare con la valutazione degli impatti ambientali ad accedere alle tecniche di selezione di cosa misurare, come misurarlo e che uso fare delle misure.

A un LCA rigoroso dovrebbe seguire un coerente piano d’azione, con modifiche anche sostanziali all’attuale business model.

Condivisione e collaborazione, vengono indicate come fattori critici di successo ed esaminati in una sequenza sintetica:

  1. ENGAGE (interno): Il punto di partenza è l’esigenza di ottenere il supporto del vertice aziendale e di tutte le funzioni coinvolte ai cambiamenti proposti nel modus operandi, evidenziando il loro contributo al miglioramento della performance.
  2. FILIERA: La comprensione della value chain potrà aiutare a sviluppare sinergie a monte con i fornitori della filiera e a valle con la distribuzione.
  3. PARTNER: Un’altra decisione importante, una volta definiti obiettivi e piani di azione, è se procedere da soli o in collaborazione (go alone or go together). Forme di condivisione orizzontale, ad esempio partnership su iniziative specifiche con altri produttori del settore e la distribuzione, possono essere consigliabili per affrontare insieme con una scala più adeguata e più tempestività sfide ambientali troppo grandi per una singola impresa.

Un altro aspetto distintivo dell’innovazione sostenibile, specialmente se confrontata con quella realizzata prevalentemente nel chiuso dei laboratori aziendali, è il sempre più diffuso ricorso al modello dell’open innovation, con un forte coinvolgimento di altri stakeholder nel co-create solutions mettendo anche a frutto le nuove opportunità offerte dal web.

 

Come costruire un piano d’azione dopo aver completato le LCA (Unilever)

 

  1. Rivedere i business plans per contenere gli impatti ambientali:Mappare le iniziative correnti (innovazione, cambiamenti nel mix di prodotti o nei piani di approvvigionamento) che produrranno aumenti o diminuzioni nelle emissioni, in modo da evidenziare gli sforzi ulteriori necessari per raggiungere gli obiettivi stabiliti.
  1. Adeguare il piano alle situazioni specifiche:I detersivi per bucato di Unilever sono commercializzati in vari mercati di tutto il mondo. Avendo stabilito che, per questa categoria di prodotti, è l’uso da parte dei consumatori a produrre il più grande impatto, occorre tener conto di possibili diversità di comportamento dei consumatori nei vari mercati.
  1. Tener conto delle tendenze future:I passi della misurazione e della definizione delle priorità danno una fotografia istantanea degli impatti attuali della catena del valore aziendale, ma non tengono conto di eventuali cambiamenti futuri. Per es.: oggi l’impatto ecologico dei detersivi da bucato in India è basso, ma potrebbe crescere considerevolmente con l’incremento della penetrazione delle lavatrici. Anche variazioni nel prezzo dei certificati carbon price, nei regolamenti governativi e nella disponibilità di materie prime potrebbero avere una profonda influenza sulle operazioni aziendali, di cui bisognerà cercare di tenere conto nei piani di azione.
  1. Sviluppare soluzioni:Focalizzare l’azione nelle aree prioritarie. Le soluzioni mirate potrebbero includere l’innovazione di prodotto – utilizzando materiali diversi, cambiando fornitori, modificando i processi produttivi, – o il varo di programmi tesi a cambiare i comportamenti di consumo. Al limite potrebbero includere un cambiamento nel modello di business.
  1. Stabilire un ordine di priorità delle soluzioni in base a:
  • impatto potenziale di ogni soluzione;
  • livello di sforzo richiesto per l’attuazione – livello di fattibilità per voi e per i vostri partner;
  • grado di rilevanza per l’azienda, i suoi consumatori e stakeholder.
  1. Accelerare la realizzazione e ampliare la scala:Esaminare cosa si può fare per realizzare il piano in modo accelerato e su scala più ampia. Introduzione al Marketing Sostenibile. Quando un’impresa si impegna nel marketing sostenibile, questo impegno si deve riflettere nei contenuti, nel tono e nelle modalità della sua comunicazione. Nel nuovo scenario strategico delineato nella prima parte, sotto il profilo della comunicazione le imprese devono tener conto di 3 svolte che hanno segnato e trasformato profondamente il contesto:
  • l’aggiunta del livello corporate alla comunicazione sulla sostenibilità;
  • la richiesta di un salto di qualità nella trasparenza verso i consumatori, con il superamento delle pratiche di greenwashing e un loro più forte coinvolgimento;
  • l’emergere di nuovi canali/modalità per comunicare efficacemente e credibilmente la sostenibilità.

 

La comunicazione corporate della Sostenibilità: un potente strumento reputazionale.

Le credenziali di sostenibilità si costruiscono molto più efficacemente a livello d’insieme, perché la comunicazione corporate, a differenza di quella commerciale – che riguarda i brand dei singoli prodotti ed è rivolta prevalentemente ai clienti dell’azienda – ha come suoi destinatari tutti gli stakeholder, sia interni che esterni, ponendo al centro del messaggio l’identità dell’organizzazione, i suoi valori, la sua mission, i suoi progetti riferiti all’impresa nella sua interezza. Per questo la comunicazione corporate o istituzionale ha come obiettivo di affermare e far conoscere il “posizionamento” dell’impresa, è capace di influenzare gli atteggiamenti dei pubblici di riferimento per creare consenso sugli obiettivi aziendali, e spesso diventa addirittura l’occasione per far prendere all’impresa scelte strategiche che altrimenti non sarebbero state nè fatte, né comunicate.

La comunicazione istituzionale non può quindi essere un’attività di breve periodo o tattica, ma può raggiungere risultati significativi solo se programmata per un periodo di tempo lungo che va al di là dell’orizzonte annuale dei budget pubblicitari. Questo tipo di comunicazione ha bisogno di un diverso ‘respiro’ e richiede modalità e cadenze di svolgimento sue proprie.

Idealmente un’impresa che volesse comunicare la sostenibilità come elemento essenziale della propria identità, per ottenere il massimo impatto possibile dovrebbe poter lavorare su due livelli paralleli. Da una parte una comunicazione corporate, rivolta sia ai pubblici interni sia a quelli esterni, che faccia da ‘cornice’ ideale. Rafforzata da messaggi commerciali più diretti e specifici, che invece mettano in risalto come i singoli prodotti/servizi siano l’espressione concreta dell’impegno sostenibile assunto dall’azienda.

Tutto questo diventa ancora più importante nell’era digitale.   Oggi i consumatori e gli altri stakeholder dell’impresa pretendono una maggiore trasparenza e vogliono conoscere più a fondo cosa c’è dietro il nome del produttore e dei prodotti: vogliono essere informati non solo su cosa viene offerto, ma anche su quali sono i principi e le regole che ispirano l’attività dell’organizzazione (vision, engagement).

Da qui la necessità di costruire una forte corporate reputation: non c’è dubbio che se il cliente ha fiducia in un’impresa, ne percepisce più positivamente le proposte commerciali, acquista più facilmente i suoi prodotti ed è più disposto a pagare un premium price, se richiesto. Inoltre un’impresa può più facilmente superare un incidente di percorso o da una notizia negativa, se la sua reputazione è elevata.

Costruire e mantenere nel tempo la reputazione dell’impresa è un compito arduo e complesso che, oltre a iniziative di PR e di comunicazione coinvolge tutte le aree dell’organizzazione. La reputazione è il risultato di tutto quello che ogni giorno l’impresa fa e di come lo fa. E’ il risultato dell’impegno di sette giorni alla settimana, 24 ore al giorno. Tutti i dipendenti, e non solo le funzioni direttamente coinvolte a livello strategico – dai semplici impiegati alla forza vendite – devono essere al corrente degli obiettivi della campagna, e comportarsi coerentemente nei loro contatti con i vari stakeholder di riferimento.

L’importanza della reputazione aziendale non può essere misurata in termini solo economici, perché è il risultato di tutta una serie di fattori che non sempre sono espressione o sono collegati direttamente con la performance finanziaria, ma questa rappresenta senza dubbio il più importante valore immateriale per l’impresa. E deve essere difesa ad ogni costo.

La costruzione di una solida reputazione di impresa sostenibile, un valore immateriale di particolare importanza, si ottiene solo con una comunicazione che rispetti alcune regole fondamentali. Soprattutto oggi che, a differenza del passato, errori, mezze verità o incidenti di percorso non passano più inosservati sotto l’occhio attento – e critico – dei tanti consumatori che oggi formano le loro opinioni di acquisto sul web e possono avere un impatto dirompente sul business aziendale.

Coerenza

Comunicare la sostenibilità per un’impresa responsabile non è un’operazione tattica, promozionale o di breve durata, ma un progetto importante e multitasking, di lungo periodo, che deve essere coerente con la strategia aziendale e coinvolgere tutte le funzioni dentro e fuori dell’impresa.

 

Onestà

La comunicazione sostenibile deve essere veritiera, accurata e documentabile. Deve essere rilevante per le caratteristiche del prodotto/servizio offerto e non ingenerare confusione nella mente del consumatore per quanto riguarda l’impatto ambientale. Deve essere chiara e puntuale sui benefici ambientali promessi evitando il rischio di overpromise.

 

Misurabilità

Oggigiorno qualsiasi tipo di attività aziendale deve essere misurabile, ma questo vale in modo ancora maggiore per la comunicazione della sostenibilità. La comunicazione sostenibile infatti si propone non solo di ‘vendere’ un prodotto o un servizio, ma di ottenere un impatto positivo per la sostenibilità del pianeta. E questo aspetto, per essere comunicato, non può che essere misurato. E per misurarlo bisogna stabilire dei criteri e degli obiettivi.

 

Trasparenza verso i consumatori e rifiuto del greenwashing

La mancanza di informazioni affidabili per effettuare scelte consapevoli di acquisto è una delle lamentele più ricorrenti dei consumatori. Comunque non si tratta solo di un problema di completezza, ma anche di come le informazioni sui prodotti e servizi vengono presentate, spesso facendo supporre benefici maggiori di quelli che effettivamente siano in grado di mantenere.

La diffusa tentazione di dare una superficiale mano di verde – greenwashing – all’offerta aziendale costituisce una seria distorsione e da tempo ha provocato vibrate proteste e decise reazioni da parte delle istituzioni e delle associazioni di consumatori. Il problema è così serio che occorre andare oltre i codici di autodisciplina e i loro limiti.

Nella III Comunicazione della Commissione Europea sulla CSR viene evidenziato come l’esagerazione delle proprie credenziali di sostenibilità rappresenti, insieme a comportamenti irresponsabili da parte di alcune aziende, una tra le principali ragioni di mancanza di fiducia nelle imprese da parte dei cittadini. L’esperienza e l’attenzione che il web dedica sempre di più a comportamenti poco corretti come il greenwashing, possono trasformare questi tentativi maldestri in un vero e proprio boomerang per la reputazione aziendale, con un grave rischio economico per l’azienda.

 

Nuovi canali per comunicare la Sostenibilità

Le sfide della corporate communication hanno trovato un potente supporto nelle nuove potenzialità offerte dal web, avendo a disposizione degli inediti ma potenti strumenti di comunicazione.

Una conferma non sorprendente è il fatto che il 90% dei consumatori intervistati da Nielsen dichiarino di fidarsi delle raccomandazioni di persone conosciute. Ma subito a ridosso troviamo con il 70% fonti espressione del web, come le opinioni di consumatori posted on line e i Brand websites dedicati in modo crescente alla sostenibilità. Seguono poi i media tradizionali, stampa, TV, ecc.

In un mondo sempre più globalizzato, le imprese non possono ignorare strumenti così efficaci di comunicazione come i social media, un potente motore di crescita. Non solo perché raggiungono un numero stupefacente di possibili consumatori: le cifre più recenti parlano di 1 miliardo di utenti per Facebook (su 7 miliardi di abitanti del pianeta inclusi i bambini in fasce e gli anziani) e 500 milioni per Twitter, anche se sono solo numeri provvisori, perchè crescono con una rapidità esponenziale a cui è impossibile stare dietro. Ma anche perché Facebook è la più potente piattaforma per il social marketing, dove le raccomandazioni per gli acquisti hanno la capacità persuasiva del consiglio di un amico o di un conoscente con il quale si condividono un forte clima di rispetto e fiducia. Proprio il tipo di raccomandazione che può condizionare le scelte di acquisto molto di più che gli spot della pubblicità tradizionale.

Un’ulteriore applicazione allo stato nascente dei social network sites è il social commerce (s-commerce), l’acquisto di beni e servizi attraverso questo canale. Un recente studio dei consulenti Booz & Co proietta una forte crescita, indicando che nel 2015 saranno venduti negli USA prodotti per 30 miliardi di dollari, 6 volte i 5 miliardi del 2010.

Pionieri del marketing come Procter & Gamble stanno sperimentando proattivamente queste potenzialità, collegando esplicitamente le campagne pubblicitarie a Facebook e aprendo un virtual shop per il social commerce. La crescente focalizzazione su digitizing and socializing brands è messa in evidenza da una ricerca 2011 di Booz & Co realizzata presso 117 imprese leader con interviste ai responsabili marketing e media: il 95% pianifica di investire di più nei social media, il 78% ritiene che essi aumentino l’efficacia del loro marketing, il 60% li considera la loro priorità numero 1, infine per il 40% il rafforzamento dei social media è sull’agenda del CEO.

L’etichettatura dei prodotti come strumento per comunicare la Sostenibilità

Per i consumatori fonte primaria sulla sostenibilità sociale e ambientale dei prodotti sono le informazioni contenute sulle etichette, relativamente a composizione, origine e tracciabilità della catena di fornitura, modalità d’uso e performance ambientale dei prodotti.

La materia è delicata e complessa, la grande quantità di simboli e la loro proliferazione non sempre aiutano i consumatori ad orientarsi correttamente.

La missione di una eco-label è comunicare sul punto di vendita una storia credibile su quanto accade nel resto della catena di fornitura. Le funzioni svolte sono 3: fornire a consumatori e stakeholder una garanzia credibile di sostenibilità, influenzare attraverso standard volontari il miglioramento della performance sociale e ambientale lungo la catena di fornitura, orientare le decisioni di acquisto e i cambiamenti di comportamento comunicando ai consumatori la performance di sostenibilità.

Le eco-label hanno generato diverse conseguenze positive: aumentando consapevolezza e attese dei consumatori, fornendo credibili piattaforme di comunicazione, creando comuni linguaggi e schemi di riferimento per la sostenibilità, stimolando opportunità di collaborazione, ma soprattutto migliorando gli impatti ambientali e sociali. Ad esempio, nel caso dei beni durevoli e semi durevoli come gli elettrodomestici, l’etichetta di efficienza energetica – prevista dalla legge –, indicando in modo chiaro il consumo degli apparecchi, è stata uno dei più importanti fattori nell’ orientare le scelte dei consumatori verso prodotti di classe A, A+, e A++ e contribuire in tal modo al risparmio energetico.

Ma le lamentele dei consumatori, evidenziate dalle ricerche, relativamente alla carenza di “informazioni per poter fare di più nei confronti del cambiamento climatico”, a volte si appuntano specificamente sulla confusione ingenerata da una pletora di etichette (ad esempio nel settore alimentare: fairtrade, etico, biologico).

Attualmente è in corso un processo di ripensamento e rivalutazione strategica all’interno di questo universo, rivedendo aree di criticità come: la mancanza di monitoraggio degli impatti da parte della maggioranza degli eco-label, utilizzo di tipo e quantità di dati realmente adatti ai diversi settori, adeguatezza degli standard sottostanti, insufficiente confrontabilità e significatività delle informazioni, fiducia effettiva generata da alcune.

Alla luce di queste considerazioni emerge da un lato l’esigenza di procedere con molta cautela nella decisione di quali etichette non obbligatorie adottare. Dall’altra l’importanza di sfruttare al pieno le loro potenzialità nell’applicazione pratica, non limitandosi a rispettare semplicemente le diciture di legge, ma utilizzando l’etichetta come un veicolo molto potente di comunicazione dell’impegno di sostenibilità dell’impresa per portare avanti al meglio la propria scelta sostenibile.

Possibili forme alternative di comunicazione sul punto di vendita sono le tecnologie di telefonia mobile e tagging, che pongono nelle mani dei consumatori informazioni di sostenibilità sotto forma di iPhone e text messaging. Sempre nell’ICT, IBM sta portando sul mercato delle soluzioni software che visualizzano le catene di fornitura e aumentano la tracciabilità in caso di crisi di sicurezza alimentare.

 

La prospettiva dei consumatori

Simmetricamente, a fronte dell’esigenza dei produttori di comunicare la sostenibilità per influenzare a proprio favore la propensione e le preferenze dei clienti, si pone quella dei consumatori di acquisire informazioni affidabili sulla performance ambientale e sociale dei prodotti/servizi, in modo da poter compiere scelte di acquisto consapevoli e responsabili. I quesiti chiave sono allora:

  • a che fonte degna di fiducia rivolgersi?
  • A quali criteri affidarsi per valutare i claims dei produttori e non cadere vittima del greenwashing?
  • Come calcolare il trade-off effettivo tra vari stili di consumo?

In termini di fiducia si posizionano bene i test comparativi e gli studi specializzati condotti da autorevoli istituti/esperti terzi (es: JD Power, per le automobili) e diffusi da media specializzati e istanze di rappresentanza. E, naturalmente al vertice, la raccomandazione di una persona fidata, che ha avuto un’esperienza diretta di utilizzo.

Ma è in questo ambito che si è aperta una nuova prospettiva rivoluzionaria, dilatando a dismisura la potenza della raccomandazione, prima frammentata e limitata ad un numero ristretto di consumatori da meccanismi di comunicazione prevalentemente da persona a persona.

Gli strumenti del social networking (come Twitter) consentono ora ai consumatori che hanno provato il prodotto/servizio di postare sul web i loro commenti, innescando processi estesi di peerreview. I social network rappresentano oggi una nuova piazza virtuale dove si scambiano opinioni e suggerimenti, che sono capaci di coinvolgere grandissimi numeri di individui e di influenzare – in positivo o in negativo- milioni di decisioni di acquisto.

Un’altra importante conseguenza della rivoluzione generata dal web è la trasformazione dei modelli di flusso di informazioni, da uno eminentemente mono-direzionale, dal produttore al consumatore, ad uno sostanzialmente bi-direzionale. Questo empowerment di fatto dei consumatori ha fatto crescere in parallelo anche il loro livello di aspirazione. Potendo far sentire e valere la propria voce, con l’incoraggiamento dei produttori stessi, essi sono pienamente legittimati a diventare parte attiva nel dibattito sulla evoluzione verso consumi sostenibili.  

Conclusioni

Marketing col Cuore per superare la “crisi” contingente intende favorire una sostenibilità come “Strategia di sviluppo” in grado di creare valore economico per i clienti, dipendenti e azionisti a beneficio della società e dell’ambiente. Per far questo occorre:

  1. Stabilire un quadro generale strategico che crea valore;
  2. Familiarizzare il team con il quadro strategico sostenibile;
  3. Integrare una valutazione delle opportunità e dei rischi dalla strategia sostenibile;
  4. Creare opzioni strategiche per ulteriori indagini;
  5. Adottare strategie che combinano obiettivi di sostenibilità e obiettivi aziendali.

Perché ciò si concretizzi in un contesto imprenditoriale occorre elaborare e attuare gli obiettivi e le metriche che guideranno l’intera azienda, approfondendo e accelerando l’attuazione delle strategie sostenibili.

Successivamente, sarà opportuno implementare le strategie di sostenibilità ottenute attraverso l’utilizzo di specifici strumenti marketing che potranno assicurare lo sviluppo di un piano di comunicazione interna (dirigenti e dipendenti) ed esterna, attraverso un processo di revisione regolare delle strategie pianificate.

In tal modo potranno ritenersi consolidati parametri e dati esatti che devono essere parte integrante del piano strategico basato sul reale superamento delle molteplici criticità economiche congiunturali.

Se ritieni utile per la tua azienda intraprendere questo importante cammino di rinnovamento contattaci, sapremo come aiutarti.

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